SOTTO LE STELLE DEL CINEMA - OMAGGIO A WOODY
Pensavo di fare una storia su un individuo la cui personalità cambia continuamente per inserirsi ovunque. Desidera così tanto piacere che cambia la propria personalità per inserirsi in ogni gruppo in cui si trova. Poi pensai che sarebbe stato molto interessante vedere i cambiamenti fisici. Lui diventa la persona con cui si trova. Poi pensai che sarebbe stato molto interessante presentarlo come un fenomeno internazionale [...]. Scrissi prima di tutto il copione. Poi guardai milioni di metri di documentari e, ogni volta che trovavo qualcosa di nuovo, cambiavo il copione. E la cosa andò avanti per un paio d’anni. [...] Ci procurammo vecchi obiettivi degli anni Venti, vecchie macchine da presa e vecchie apparecchiature per il sonoro. Cercammo di procurarci tutte le cose di quel tipo che ancora esistevano. E girammo usando esattamente lo stesso tipo di luci che usavano all’epoca. Usammo dei matte-shots. Facemmo degli effetti-sfarfallio, cosicché il nostro film, come quelli vecchi, avesse una luce tremolante. E poi facemmo dei graffi sul negativo. Non volevamo strafare. Cercammo soltanto di rendere la cosa la più naturale possibile. Usammo anche qualche trucco fotografico per inserire la mia immagine in vecchie fotografie. [...] Fu tecnicamente difficile. Ma Gordon Willis è un genio e fu in grado di capire che tipo di luci avevano nei cinegiornali originali e di ricrearle in studio sul blue screen; e poi mi inseriva nell’immagine. [...] È stato divertente farlo, ed è stata una piccola impresa, ma quello che m’interessava era il contenuto del film. [...] Volevo parlare del pericolo che si corre abbandonando il proprio vero io, nello sforzo di piacere, di non creare problemi, d’inserirsi, e di dove questo possa condurre una persona in ogni aspetto della sua vita e a livello politico. Conduce a un estremo conformismo, e a un’estrema sottomissione alla volontà, alle richieste e alle necessità di una personalità forte.
Woody Allen
Il conformismo è in effetti un fenomeno di ogni tempo, ma evidentemente Allen sceglie di collocare la vicenda di Zelig negli anni Venti e Trenta con specifico riferimento al nazismo, perché è in questo periodo che si delinea una particolare dimensione della massa. E da questo punto di vista, è soprattutto nella posizione – e nel rapporto – di Zelig con la folla che si ritagliano i momenti più significativi del film. [...] A ben vedere la malattia di Zelig rivela forse l’ultimo caso clinico di quella ‘assimilazione schizofrenica’ che caratterizzerebbe l’attitudine, prima di tutto spettacolare, dell’umorismo ebraico americano: l’arte dello sdoppiarsi, di imitare l’altro – e vedersi come un altro – anche per smarcarsi dall’altro e difendere paradossalmente la propria identità.
Michele Fadda