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copertina di Andrea Gazzoni

Andrea Gazzoni

Voci dal verbo LEGGERE | in occasione del progetto I rom d‘Europa, lettura al cosmo, qualche domanda su libri e letture a Andrea Gazzoni | dicembre 2023. 

Che ruolo hanno libri e lettura per te, qual è il tuo rapporto con la parola scritta e le immagini e con l’oggetto libro/pubblicazione?
Più che un ruolo, i libri hanno per me una presenza: sono una cosa viva che aggiunge un nuovo filo alla trama della vita, la mia e quella di tutti. Ogni libro è la possibilità di un incontro che non so dove porterà. Succede nella lettura, e forse ancora di più nella rilettura, non dei libri in generale, ma di questo libro, e poi di quello, e poi di quell’altro. Vale per il libro letto da solo in silenzio, per quello letto con la persona che amo, per quello letto con un gruppo: qualcosa può accadere, e lo sentono corpo, mente e cuore. E a volte non accade nulla. L’oggetto libro mi colpisce per la sua intenzione di durare: mi hanno sempre affascinato i libri antichi, vecchi o invecchiati, fragili e ingialliti, con copertine che sanno di un’altra epoca, come sconfitti dal tempo, modesti eroi destinati allo sbriciolamento, ma anche un libro che nessuno legge e perfino i libri più belli e più nuovi sono tutti portatori delle parole loro affidate nell’impermanenza. Il giornale, diceva Luigi Pintor, a mezzogiorno è buono per incartarci il pesce; il libro no, prova a durare con un senso, ci prova, soccombe a modo suo, conservando e tramandando parole finché anche l’ultimo frammento del suo corpo regge ed è leggibile. E chi legge e chi scrive, per me, ci prova insieme al libro. Penso a quando compro un libro usato e dentro poi ritrovo dediche, ricette mediche, biglietti del treno, appunti, perfino ricordini di defunti: tutte tracce delle vite che hanno incrociato, almeno per un po’, quella del libro.

Quali sono i testi significativi nella tua formazione?
I fumetti, soprattutto Disney (ma non dimentico Braccio di Ferro, Felix il Gatto e altri), hanno nutrito l’immaginazione nella mia infanzia negli anni Ottanta (che profumo nelle loro pagine). Poi arriva Dylan Dog e il fumetto apre livelli diversi di lettura. E con l’inizio del liceo, semplicemente sfogliando l’antologia del biennio e raccogliendo gli spunti offerti dall’insegnante di italiano, mi accorgo che esistono anche i libri da leggere. Il giovane Holden, il primo libro che acquisto di mio. Una raccolta dei testi di Bob Dylan su una bancarella del metà prezzo. Una smilza antologia di Montale in allegato all’Unità. Da lì gli incontri si sono moltiplicati. Quelli che cambiano la vita: Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Pirandello, Kafka, Dostoevskij, Campana, Nietzsche. E di lì a cercare radici e verifiche: Leopardi, Dante, Omero. Ognuno apre un mondo diverso. Quasi tutti letti nelle edizioni Newton Compton, che allora si compravano per due soldi, anche in edicola: una formazione all’insegna del rapporto qualità/prezzo. Con il tempo dell’università arrivano altri testi maestri, inutile fare una lista. Certo che senza Mille piani di Deleuze e Guattari la vita sarebbe andata altrove o avrebbe avuto una qualità diversa, così come senza i poemi Omeros di Derek Walcott e Diritti di passaggio di Kamau Brathwaite, o senza i libri di Raffaello Baldini, incontrati tardi e poi sempre riletti, ad alta voce, nel ritmo del dialetto.

Biblioteche, archivi, librerie, rete: dove cerchi parole e immagini, volumi e riviste, fumetti utili per le tue ricerche?
La rete mi ha fatto incontrare libri decisivi, ma negli anni mi ha impigrito, per cui giro meno per librerie rispetto a un tempo. Poche volte ho cercato parole in archivio: è un’esperienza che richiede pazienza e rigore, e insegna molto sulla vita delle parole e dei libri (l’archivio è lo spazio di un’avventura, come studiare gli strati di annotazioni su una Divina Commedia di cinquecento anni fa, o come leggere le carte di Alberto Savinio). In una normale biblioteca cerco e trovo, talvolta trovo senza cercare. Sempre più mi sto riappropriando, quando posso, della biblioteca come luogo pubblico, dove leggere in un silenzio condiviso con altri che leggono. In questo preferisco le piccole biblioteche di quartiere, con la loro intimità, e comunque - mi dico sempre davanti ai loro non immensi scaffali - con una collezione di testi che basterebbe per dieci vite. (Le meravigliose pagine del Malte di Rilke dentro la Bibliothèque Nationale potrebbero venire riscritte anche per una piccola biblioteca della provincia bolognese?)

Lettura come stimolo, approfondimento, per documentarsi, per distrarsi…? Tu come la pratichi?
Dipende. A scuola, dove lavoro, la lettura è prima di tutto condivisione e voce, una pratica che costituisce una piccola comunità di lettori alla ricerca di un senso. Fuori, è una pratica per lo più solitaria e silenziosa, che ora sempre meno procede con un programma e sempre più segue percorsi non lineari, dettati da urgenze, occasioni, desideri. Però è in ogni caso una pratica: continuo a imparare a leggere leggendo. Quando posso, pratico quella forma di stralettura che è la traduzione, in particolare di poesia: per dare un corpo in italiano a un testo in lingua straniera occorre intensificare il più possibile la lettura, entrare letteralmente in un corpo a corpo con il testo da leggere e tradurre, cosa che ha una sua bellezza anche quando si perde (e si perde quasi sempre).

Come intendi la lettura ad alta voce e quale significato ha per te all’interno dei contesti in cui la pratichi o la ascolti?
Prima di tutto è condivisione. Ma è anche un lavoro su di me che leggo ad alta voce per o con gli altri, perché questa lettura, quasi socraticamente, fa uscire da me qualcosa di cui io stesso posso non essere completamente consapevole e che comunque io porto agli altri nel momento in cui la mia voce si diffonde nell’ambiente: può essere una tonalità, una tensione, uno slancio, una memoria che affiora o un’immaginazione che si forma mentre restituisco corpo sonoro alle parole. Come dicevo sopra, a scuola leggere ad alta voce ha un significato relazionale, e tutte le variazioni di atteggiamento che noto (inclusi goffaggine, rigidità, e perfino rifiuto) mi sembrano i segni di uno spirito alla ricerca di sé, che a volte ha paura di smarrirsi quando, attraverso la propria voce, si espone agli altri. Ma proprio a questo serve, forse, leggere ad alta voce: a smarrire il proprio piccolo io e ad avventurarsi più in là.

La lettura è un’esperienza individuale, eppure leggere ad alta voce implica spesso il passaggio dal personale al collettivo. Cosa rappresenta per te leggere ad alta voce nell’ambito del percorso di lettura collettiva del laboratorio “I rom d’Europa?”
Per me è almeno in parte una ripresa del lavoro fatto l’anno precedente con la “lettura al cosmo” del libro Tra le rose e le viole. Leggere ad alta voce (e ascoltare chi legge ad alta voce) nel laboratorio è un’esperienza unica, grazie alla conduzione di Fiorenza Menni, che con le pratiche che ci propone riesce ad aprire dei canali di sensibilità sottili: leggere con tutto me stesso (corpo voce attenzione immaginazione memoria ecc.) senza essere solo me stesso, perché il soggetto che fa la lettura è il gruppo, e chi dà voce al testo nel proprio turno di lettura è solo un veicolo (preziosissimo e singolare) di qualcosa che accade per mezzo di tutti i presenti. Forse è quello che accade sempre nella lettura, ma nel laboratorio questo aspetto viene incarnato pienamente, fino alle sue radici. Mi ha colpito che questo emerga anche leggendo un saggio storico come I rom d’Europa, un genere di libro non tipico delle letture ad alta voce: è come se cadesse la distinzione (abitudinaria e un po’ pigra) tra testo letterario e non letterario. D’altra parte il contenuto del libro che leggiamo ha una forza propria, che si moltiplica quando il gruppo legge e ascolta questa storia incredibile, e sorprendentemente ignorata dalla nostra coscienza storica.   

Qual è il tuo rapporto con i libri, i fumetti o le riviste che hai già letto? Hai l’abitudine di rileggerli, li conservi o li metti via? Hai dei consigli di lettura da suggerire?
Conservo tutto, butto solo qualche rivista. Faccio ancora fatica a disfarmi di un libro che ho già letto, quasi fosse una parte o una possibilità di me, anche se spesso la memoria di quel che sta nel libro si sfilaccia, si perde, si confonde (forse leggo sperando che dall’oblio si salvi qualcosa che resiste agli anni?). Non rileggo tutto quello che vorrei rileggere, ma quando capita è una splendida verifica: se rileggendo un libro continuo a sorprendermi, a sentirlo nuovo, è segno che, almeno per me, è un gran libro, un compagno di viaggio: un classico (ognuno ha i suoi). Rileggere, per me, è anche venire riletto. In mezzo a questo c’è anche la malinconia del non-letto, di quei libri che aspettano mesi ed anni sullo scaffale - anzi, non aspettano neanche più, sono lì e basta, a ricordare la finitudine del lettore, la sua incompiutezza: da quanto tempo Infinte Jest di Foster Wallace ha smesso di aspettarmi?  Senza un criterio particolare, semplicemente consiglio quel che mi piacerebbe che altri leggessero in questo momento. Interrogare e leggere, di Chiara Guidi, un libretto sottile e radicale proprio sulla lettura come pratica. E passando a un’altra pratica, quella zen, ma con implicazione etiche che possono valere per tutti e in ogni contesto, lo Shobogenzo Zuimonki, una raccolta di discorsi informali offerti dal maestro zen Dogen ai suoi allievi quasi otto secoli fa, con il commento vivo e vigoroso di un maestro contemporaneo, Anna Maria Shinnyo Marradi. Per la scrittura in versi, consiglierei L’essenziale di W.S. Merwin, grande poeta americano poco noto in Italia, la cui poesia “Per l’anniversario della mia morte” da sola vale il libro, e Poesie scelte dell’albanese Gëzim Hadari, poeta bilingue dell’esilio, che ha una forza antica, contadina. Ancora due di poesia, che attraversano rispettivamente il regno animale e quello vegetale: Dal cane corallo di Giampaolo de Pietro e Vetro veglia casa tintinnio di Francesco Balsamo. Per la narrativa, Zero K di Don DeLillo, che chiede di essere riletto dopo che già una volta mi ha lasciato senza parole. E poi il monologo La fondazione di Raffaello Baldini, dove c’è semplicemente tutto, sia il pieno che il vuoto.    


Andrea Gazzoni partecipa al progetto I rom d’Europa, lettura al cosmo , un laboratorio di lettura condivisa ad alta voce, a cura di Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, un progetto ideato da Ateliersi e realizzato con il finanziamento del Centro per il libro e la lettura .

Il progetto prevede nove incontri, da ottobre 2023 a marzo 2024, dislocati in diverse sedi tra cui Atelier Sì e alcune biblioteche della città Metropolitana di Bologna, come la Biblioteca Amilcar Cabral e la Biblioteca Luigi Spina. Durante gli incontri, verranno approfondite ‘pratiche di tecnica per la pronuncia e processi di organizzazione emotiva e fisica per l’emissione vocale e per l’esaltazione e il controllo dei significati, della narrazione e dei sentimenti’. Il percorso ruota intorno alla lettura in ensemble del libro I rom d’Europa. Una storia moderna di Leonardo Piasere (Laterza), ‘un libro capace di mettere a fuoco un insieme di lucidi interrogativi sul contemporaneo attraversando la storia delle relazioni tra rom, sinti e gagé’. A conclusione degli incontri è previsto un reading finale in occasione dell’8 aprile, Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti.


Andrea Gazzoni insegna lettere nella scuola media in provincia di Bologna. Ha studiato e lavorato in università italiane (Bologna, Siena) e americane (Oregon, Portland, Philadelphia). Ha scritto di letteratura comparata e italiana. Tra gli autori che ha tradotto ci sono Kamau Brathwaite, Édouard Glissant, Wilson Harris, Derek Walcott, Alejo Carpentier, Gémino Abad. Per Edizioni Ensemble dirige la collana di saggi “Transculturazione”.