Incontro in occasione dell'uscita del numero 100 di Africa e Mediterraneo - Restitutions: Ethics and Methodologies for a Contested Heritage a cura di di Lucrezia Cippitelli e Donatien Dibwe dia Mwembu.
Intervengono Lucrezia Cippitelli, Maria Pia Guermandi, Sandra Federici.
A seguire, h 20.15 in Sala Cervi - Cineteca di Bologna (Via Riva Reno 72/A) proiezione del film Dahomey (Francia-Senegal-Benin/2024) di Mati Diop (68').
Sulla restituzione | On Restitution di Lucrezia Cippitelli e Donatien Dibwe dia Mwembu
Questo numero ha raccolto idee e dibattiti sulla questione delle “restituzioni”. Diversi campi di sapere vengono attraversati per sollecitare un ripensamento che riguarda solo gli oggetti e la loro storia di provenienza e fa ripensare la genealogia delle istituzioni, delle classificazioni, del significato di opere e oggetti. Più radicalmente, dei dispositivi – come il Museo – costruiti a partire dall’età moderna, della forma mentis che li ha costruiti, della colonialità eurocentrica che li informa, oggi, e che è ancora presente in ogni atteggiamento sociale e politico riguardante la relazione tra Occidente e culture post-coloniali, tra cittadini bianchi e cittadini non bianchi. La questione cruciale al centro dei saggi raccolti è rispondere al desiderio delle comunità di origine africana di recuperare e riappropriarsi di ciò che è stato loro sottratto ieri.
Il tema della restituzione è infatti diventato di grande e recente attualità perché le istituzioni occidentali, in possesso di oggetti che non hanno provenienza chiara e che testimoniano una storia oggi difficile da salvaguardare, hanno mostrato un disagio e un bisogno di liberarsi della pesante eredità coloniale e affrancarsi dalla definizione di “ultimi baluardi del colonialismo”.
La ricerca della verità storica ha avviato progetti di ricerca e collaborazioni tra i ricercatori dei paesi diseredati e quelli dei paesi possessori, nonché negoziati tra Stati, ex capitali ed ex colonie. Ma le necessità delle istituzioni bianche dovrebbero essere messe in secondo piano e il dibattito dovrebbe finalmente privilegiare le necessità delle comunità derubate, a partire da una serie di studi che riabilitino (o finalmente raccontino secondo epistemologie non occidentali) il significato umano di quegli artefatti. In Occidente ci chiediamo come operare dal punto di vista legale e istituzionale. O privilegiamo l’aspetto storico: quali epistemologie e tensioni politiche hanno portato alla nascita del Museo coloniale? Alcune voci, che sono permeabili a pratiche accademiche aperte che vedono la ricerca artistica come spazio epistemologico non disciplinare da cui proporre modelli di complessificazione della storia, si rivolgono a una ricostruzione storica che faccia luce per esempio sulle collezioni private di oggetti arrivati in Europa a partire dal Rinascimento.
Cosa ci dicono queste storie spesso non affrontate sulla costruzione di un paradigma di inferiorizzazione degli africani, a partire dall’avvio, un secolo dopo, della Tratta Transatlantica? Se le relazioni culturali asimmetriche proprie del colonialismo hanno portato al saccheggio di oggetti culturali, come abbiamo costruito i dispositivi coloniali? In che modo essi agiscono ancora oggi? In che modo dobbiamo decostruire il nostro sguardo per denaturalizzarli e denaturalizzarne l’impatto sulle nostre società contemporanee? In che modo è possibile riparare?
Ma soprattutto: dovremmo ascoltare le prospettive delle comunità derubate. La colonizzazione ha inibito il patrimonio culturale africano, ha disconnesso le comunità di origine dalla comunione con i propri antenati, ha costretto le popolazioni colonizzate, private della loro cultura, ad aprirsi a valori culturali occidentali scarsamente assimilati, per riempire un vuoto. Il dibattito sulla restituzione, sulle ricostituzioni, sul riparare, attraverso la riappropriazione dei valori culturali, permette di ricollegare il passato precoloniale, consapevolmente sepolto e dimenticato, a un presente postcoloniale amputato. Cosa viene restituito? Qual è il valore degli oggetti culturali restituiti alle comunità di origine? Queste domande sono l’humus di un dibattito che dovrebbe essere speculare a quello delle società occidentali e interno al continente africano cosiddetto moderno, tra i membri delle comunità di origine, per creare uno spazio di dialogo e di sensibilizzazione sull’importanza dei valori culturali africani in generale e sul loro mantenimento e conservazione.
Ripristinare tutti i valori tradizionali distrutti sembra essere la risposta alle domande: “Qual è il futuro delle nostre lingue madri, soprattutto all’interno delle famiglie intellettuali? Come manteniamo i nostri cimiteri? Come conserviamo i nostri documenti d’archivio?” Queste mettono a nudo i nostri atteggiamenti nei confronti dei valori culturali del continente, contribuendo a valutare l’importanza e la legittimità degli oggetti culturali restituiti o da restituire e del rimpatrio di resti umani alle popolazioni africane.
Dahomey (Francia-Senegal-Benin/2024) di Mati Diop (68')
Orso d’oro all’ultima Berlinale, il film di Mati Diop affronta temi complessi come la storia e le identità postcoloniali. Racconta il processo di restituzione da parte dei francesi di ventisei opere sottratte durante la colonizzazione di quello che era un tempo il Regno del Dahomey, nell’attuale Benin, in Africa occidentale. Fondato intorno al 1600, all’apice della sua potenza, tra XVIII e XIX secolo, vantava, oltre a un ruolo chiave nella tratta degli schiavi verso le Americhe, un notevole patrimonio artistico-architettonico. “Raramente un film si presenta con l’urgenza di Dahomey. […] Mati Diop firma alcuni dei momenti di cinema più forti visti nel 2024. Cinema politico, certo, ma dotato di una straordinaria capacità di astrazione fantastica che permette di intravedere fra le pieghe del racconto lo spettro dell’enciclopedia universale rosselliniana. Un film importante” (Giona A. Nazzaro).
Maria Pia Guermandi è archeologa classica, consulente scientifica di progetti UE sulle politiche culturali, membro del Consiglio d’Amministrazione della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Consulente Rai Cultura, dal 2020 cura, assieme a Tomaso Montanari, la collana “Antipatrimonio” per Castelvecchi. Autrice di oltre un centinaio di pubblicazioni, si occupa di decolonialità applicata al patrimonio culturale, ambito in cui è docente presso l’Università Cattolica di Milano e svolge seminari e workshop presso università, musei e istituti di ricerca.
Lucrezia Cippitelli ricercatrice e curatrice, docente di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, co-curatrice programma Arte Contemporanea di Kunst Meran. Ha recentemente guidato la ricerca e curato tre mostre concepite a partire da archivi e depositi di eredità complesse: “Sammy Baloji. K(C)ongo, Frammenti di dialoghi intrecciati. Classificazioni sovversive” (Le Gallerie degli Uffizi, Firenze 2022), “Georges Senga. Comment un petit chasseur païen devient prêtre catholique” (Museo delle Civiltà, Roma, 2022) e “Bekele Mekonnen. The Smoking Table” (Musei Reali, Torino, 2023). Coautrice del libro Colonialità e Culture Visuali in Italia, Mimesis 2021, è stata direttrice artistica di Ateliers Picha e curatrice della 7a Biennale di Lubumbashi (Repubblica Democratica del Congo).
Sandra Federici giornalista, dirige dal 1999 la rivista semestrale Africa e Mediterraneo, che analizza dal punto di vista culturale e sociale il continente africano e i fenomeni migratori in Europa, con particolare attenzione a forme espressive come la letteratura, il teatro, il cinema, il fumetto, l’arte plastica, i media. Ha curato pubblicazioni ed esposizioni di opere a fumetti d’autori e autrici africani/e. È autrice delle monografie L'entrance des auteurs africains dans le champ de la bande dessinée européenne de langue française (1978-2016) (L'Harmattan 2019) e “Je ne voulais pas d’histoires-calebasses”. Entretiens avec les bédéistes africains (Sépia, Études littéraires africaines 2022).