
All’opposto di Feiffer - e a fianco del Li’l Abner di Al Capp, come esempio di fumetto conservatore e paternalista, assoggettato alle logiche del mercato - Eco posiziona Little Orphan Annie di Harold Gray: «ma il giudizio su Harold Gray e la sua opera è possibile senza equivoci: a disegno conservatore, di precisione ottocentesca, fa riscontro ideologia conservatrice» (p. 177). E all’inizio del saggio sui Peanuts rincara la dose:
«Il fumetto è un prodotto industriale, commissionato dall’alto, funziona secondo tutte le meccaniche della persuasione occulta, suppone nel fruitore un atteggiamento di evasione che stimola immediatamente le velleità paternalistiche dei committenti. E gli autori per lo più si adeguano: così il fumetto, nella maggior parte dei casi, riflette l’implicita pedagogia di un sistema e funziona come rafforzatore dei miti e dei valori vigenti. Così Dennis the Menace [...]; e la Little Orphan Annie diventerà per milioni di lettori la supporter di un maccartismo nazionalistico» (p. 265).
Se Dennis the Menace e Li’l Abner sono citati anche da Jezer nel suo articolo sui Peanuts più volte ricordato, l’orfana Annie e il suo autore sono invece soggetti di due articoli di Sociologia del fumetto americano (se ne veda l’indice), collocati nella sezione denominata Fumetti sotto accusa. Nell’introduzione al volume di cui qui vediamo la copertina - non datato ma risalente all’inizio degli anni Settanta del Novecento - Luciano Secchi rileva che, pur popolarissima sulle pagine dei quotidiani statunitensi, la strip di Gray è praticamente sconosciuta a livello popolare. Un’ulteriore conferma del fatto che Eco in Apocalittici e integrati sta descrivendo la situazione del mercato statunitense, non italiano. Come a mettere le mani avanti su possibili scenari che potrebbero realizzarsi anche nel nostro paese, in cui comparivano strips sui quotidiani ma con una frequenza e una diffusione nemmeno paragonabile al mercato americano.
Harold Gray, Little orphan Annie (1935-1936), Milano, Corno, s.d.