Album "Le strade di Alphaville": immagini e documenti
Avvertenza preliminare. In questa gallery faremo costantemente riferimento a saggi di Evangelisti pubblicati in Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura, a cura di Alberto Sebastiani, Città di Castello, Odoya, 2022. Le citazioni che non contengono dati bibliografici completi si riferiscono quindi a questo volume.
Le citazioni saranno così strutturate: (Titolo del saggio [data originale di pubblicazione], pagina/e della raccolta del 2022 a cui si fa riferimento).
Come si arriva ad Alphaville
Riassumere i motivi per cui Evangelisti utilizza il film di Jean-Luc Godard Alphaville. Une étrange aventure de Lemmy Caution (1965) come riferimento costante per il suo discorso critico relativo alla paraletteratura sarebbe qui impossibile. Non possiamo fare altro che invitare alla lettura dell’introduzione a Le strade di Alphaville (Ripartire da Alphaville. O del ritrovare gli strumenti opportuni, a firma Alberto Sebastiani, p. 9-24) e dei primi 3 saggi che compongono la raccolta (Mezzanotte e diciassette [2001], p. 27-29; Periferie pericolose [2004], p. 31-39; Periferia di Alphaville. 23:15, ora oceanica, [2006], p. 41-53).
Aggiungiamo solo che quello che affascina Evangelisti è sicuramente l’utilizzo da parte di Godard di elementi tipici di elementi paraletterari in un’opera cinematografica che vuole parlare dell’attualità in maniera fortemente critica. Non solo Godard utilizza i moduli della fantascienza, ma prende un personaggio del poliziesco, Lemmy Caution, creato dallo scrittore Peter Cheyney (pubblichiamo qui il frontespizio di una raccolta di questi romanzi). Sceglie poi per impersonarlo lo stesso attore, Eddie Constantine, che aveva interpretato l’agente in film tipicamente noir. Un gioco formale, di rimandi e allusioni, ma mai fine a se stesso, anzi volto ad aggiungere livelli e stratificazioni di messaggi per lo spettatore.
Peter Cheyney, Lemmy Caution F.B.I., Milano, A. Mondadori, stampa 1955.
Collocazione: 35. A. 33769
«...la miseria di un ambito letterario drogato...»
La critica di Evangelisti non fa sconti. I giudizi sono espressi in maniera netta, senza giri di parole. Nessun collega scrittore scrittore è esente da critiche, se ritenute meritate, ma i primi bersagli sono spesso proprio i critici letterari:
In Italia, si sa, i ritmi della critica letteraria sono più elefantiaci che in Europa o nel resto del mondo, mentre le pagine culturali dei quotidiani ricordano non di rado la cerimonia del tè delle anziane signore inglesi (“Ricordi quando c’era quello? Ah, che peccato che sia morto!”. “Ho ancora presente quando al Caffè Greco venivano il tale e il talaltro”. “Non scorderò mai la feroca polemica fra X e Y che sconvolse via Bagutta e incrinò l’ambiente di Giustizia e Libertà”).
Philip K. Dick e il mosaico composto [2000], p. 248
Evangelisti denuncia così proprio il malcostume di un ambiente letterario che spesso è una conventicola di persone che si sostengono o si combattono più per convenienze e simpatie che per i reali valori delle opere letterarie.
Un caso evidente lo si ha quando Evangelisti denuncia «[...] la miseria di un ambito letterario drogato [...]» (Periferie pericolose [2004], p. 36) analizzando l’articolo Ecco come ho perso il Premio Strega, apparso su «la Repubblica» del 5 luglio 2003. Evangelisti non cita l’autore, non è l’attacco al singolo che a lui interessa ma a un sistema, anche perchè è semplice risalire all’articolo e quindi al nome. Ecco l’articolo. Anche qui non si capisce chi sia l’autore? Se proprio siete curiosi, qui trovate l’articolo completo e facilmente leggibile.
Noi aggiungiamo il ricordo di un episodio avvenuto qualche anno prima sempre al Premio Strega, che aveva avuto grande risonanza proprio perchè costituiva una critica diretta al sistema dei premi letterari: il collettivo Luther Blissett (oggi Wu Ming) non si presentò alla serata finale del premio, al quale era candidato con il loro primo romazo, Q. Vent‘anni dopo i Wu Ming pubblicarono sul loro blog un resoconto di quei giorni firmato da Eleonora Bitti, che vale la pena rileggere ancora oggi e che ci sembra in consonanza con le parole di Evangelisti.
Carmilla vs Dracula
«Carmilla» è il titolo della rivista che Evangelisti fonda nel 1995 e che dal 2003 passa al formato elettronico (https://www.carmillaonline.com/), continuando fino ad oggi a portare avanti i temi e le idee da cui è nata. Grande attenzione viene data alla paraletteratura e al suo legame con l’attualità. La scelta del titolo nasce da un’opposizione fra il vampiro-femmina creato da Le Fanu e quello maschile che invece diventerà in seguito il modello predominante grazie al romanzo di Stoker (...Et mourir de plaisir [1995], p. 57-64; Dracula duemila [1998], p. 65-66; Carmilla, Robespierre e il piacere aristocratico [2004], p. 151-155).
Ci hanno raccontato delle balle. Nessun Van Helsing può vincere un vampiro. Aglio, paletti e crocifissi servono a poco o nulla. Solo un vampiro può sconfiggere un altro vampiro. O comunque chi del nosferatu condivida la volontà, la determinazione, la capacità di lacerare la notte con lo sguardo penetrante del lupo o del felino. Contro Dracula, capace di affascinare la preda e di renderla consenziente, abbiamo deciso di scatenare Carmilla. O Mircalla. O Marcilla. O Millarca. (...Et mourir de plaisir, 60)
Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla, Palermo, Sellerio, 1988.
Collocazione: 35. A. 27364
Bram Stoker, Dracula il vampiro, Milano, Longanesi, 1959.
Collocazione: NOCERA A. 61
Salgari
La figura di Emilio Salgari fa capolino più volte nei saggi di Evangelisti e diventa protagonista di un intervento centrale nella costruzione del discorso su come la critica accademica in italia abbia sempre ignorato o denigrato la paraletteratura (in particolare Perché Mompracem resiste ancora. Sui Pirati della Malesia di Emilio Salgari [2003], p. 181-188).
Invitiamo a rileggere Salgari citando un lavoro recentemente realizzato alla Biblioteca dell’Archiginnasio, una bibliografia di libri illustrati per l’infanzia pubblicati nella prima metà del Novecento e intitolata Cercare le figure. I romanzi di Salgari, arricchiti dalle opere delle migliori illustratrici e dei migliori illustratori del tempo, la fanno decisamente da padrone, a testimonianza di come la capacità immaginativa dello scrittore veronese - aiutata appunto dalle illustrazioni - abbia fatto sentire la sua influenza per decenni e continui ancora a farlo.
I libri in elenco nella bibliografia mostrano anche un altro elemento messo in luce da Evangelisti, cioè che i personaggi di Salgari - Sandokan e il Corsaro Nero in primis - sono poi stati “presi in prestito” (più o meno legalmente) da altri scrittori (più o meno bravi, a partire dai suoi stessi figli) per nuove avventure romanzesche, che continuavano a vendere migliaia di copie. Un’ulteriore conferma di come la “mitologia” salgariana - ma il discorso vale per molti altri personaggi paraletterari, e lo vedremo - fosse diventata nutrimento necessario dell’immaginario popolare.
Segnaliamo una recente biografia di Salgari: Felice Pozzo, La vera storia di Emilio Salgari, Città di Castello, Bologna, Odoya, 2022.
Luigi Motta - Emilio Salgari, Lo scettro di Sandokan (1928)
Evangelisti dedica un saggio “riabilitatorio” a Luigi Motta (Apologia della sottoletteratura [1998], p. 67-72), che oltre a un numero incredibile di romanzi “in proprio” firmò anche «numerose “collaborazioni postume” alquanto dubbie, con Emilio Salgari» (p. 67). Evangelisti celebra Motta - convinto antifascista che mai volle piegarsi al regime e che per questo pagò un duro pegno - in quanto esempio di come le scelte narrative non possano essere disgiunte da quelle politiche e quindi di come spesso sia la paraletteratura (o addirittura la sottoletteratura del titolo del saggio) il «veicolo naturale di tematiche antagoniste» (p. 72).
In queste immagini e in quelle successive vediamo il frontespizio e alcune illustrazioni (realizzate dal pittore Fabio Fabbi) di una delle tante “collaborazioni dubbie” fra Motta e Salgari.
Luigi Motta, Emilio Salgari, Lo scettro di Sandokan, Milano, Sonzogno, 1928.
Collocazione: 34. E. 442
Luigi Motta Emilio Salgari, Lo scettro di Sandokan (1928)
Luigi Motta, Emilio Salgari, Lo scettro di Sandokan, Milano, Sonzogno, 1928.
Collocazione: 34. E. 442
Edgar Allan Poe, Poems and selected tales (1918)
Edgar Allan Poe non può certamente essere definito autore paraletterario, ma viene tradizionalmente indicato come modello per almeno tre generi paraletterari che nella seconda metà dell’Ottocento (quindi quando Poe è già morto, nel 1849) avranno grande successo e contribuiranno in maniera fondamentale a definire il contesto paraletterario, anche da un punto di vista editoriale e commerciale: il fantastico, l’horror e il poliziesco. Forse per questa sua collocazione “di frontiera” Poe non è soggetto di uno specifico saggio in Le strade di Alphaville ma compare spesso fra le pagine degli interventi.
Poe viene pubblicato anche in lingua originale dall’editore Treves già nel 1918, nella collana Treves collection of British and American authors.
Edgar Allan Poe, Poems and selected tales, Milano, Fratelli Treves, 1918.
Collocazione: 9. a. III. 44
Edgar Allan Poe - Commemorazione nel centenario della nascita (1909)
Un opuscolo raro in Italia, pubblicato a New York per commemorare il centenario della nascita di Poe. Il paratesto - con la corona d’alloro nell’illustrazione di copertina e la parola poet distinta dalla più generica definizione di author nel titolo - mostra come il bostoniano fosse considerato degno di onori letterari (e quindi di una commemorazione, cosa ai tempi meno facile da ottenere rispetto a oggi) soprattutto per il lavoro poetico.
In Commemoration of the one hundreth Anniversary of the Birth of Edgar Allan Poe, Poet, Author and Editor, New York, North Side Board of Trade, 1909.
Collocazione: 5. Biografie ed Elogi. Cart. P8, n. 13
Edgar Allan Poe, Histoires grotesques et sérieuses (1871)
Bisogna ricordare che gran parte del successo europeo di Poe derivò dalla precoce traduzione in francese che ne fece Charles Baudelaire (negli Stati Uniti i racconti era usciti in rivista fra 1841 e 1842 e in volume qualche anno dopo). Forse contribuì a questo successo anche l’ambientazione parigina dei tre racconti con protagonista il cavalier Dupin, che saranno fondanti per la nascita del poliziesco. Ma a quest’altezza temporale (la prima edizione di questo libro era uscita nel 1865) manca ancora una terminologia per definire il genere, così Le mistère de Marie Roget finisce fra i racconti grotteschi e seri, mentre Double assassinat dans la rue Morgue e La Lettre volée erano stati pubblicati da Baudelaire in Histoires extraordinaires nel 1856.
Edgar Allan Poe, Histoires grotesques et sérieuses, Paris, Michel Lévy freres ed., 1871.
Collocazione: 10. AA. V. 72
Edgar Allan Poe, Racconti straordinari (1883)
Edgar Allan Poe, Racconti straordinari, Milano, Sonzogno, 1883.
Collocazione: CdF. Y. 123
Edgar Allan Poe, Racconti straordinari (1883)
Dopo avere visto nell’immagine precedente la copertina e il frontespizio, qui vediamo la seconda di copertina e il recto della carta di guardia anteriore di questo volume, i cui segni di appartenenza raccontano una storia interessante e frequente per i libri di questa gallery. Il catalogo storico dell’Archiginnasio elenca diverse edizioni ottocentesche e primonovecentesche di opere di Poe in lingua originale o in francese. In italiano, nel catalogo storico, sono presenti quasi solamente le poesie. Le edizioni in italiano dei racconti invece sono giunte in biblioteca più tardi, provenienti da quelle che nella prima metà del Novecento erano le due biblioteche “popolari” di Bologna, destinate soprattutto a persone di non elevata istruzione: la Biblioteca Comunale Popolare e la Biblioteca della Casa del Fascio. Questo volume proviene proprio da quest’ultima. Si nota un ulteriore dettaglio, cioè che alla Biblioteca della Casa del Fascio il libro era stato donato dal Conte Antonio Pepoli.
Interessanti le Due parole di prefazione che Albano Sorbelli - direttore dell’Archiginnasio ma anche della Biblioteca Popolare, di cui è promotore e sostenitore indefesso - premette al Catalogo dei libri della Biblioteca Popolare del Comune di Bologna del 1913. Le parole di Sorbelli tratteggiano a grandi linee i criteri in base ai quali era stata fatta la scelta dei libri da destinare a questo istituto che, essendo stato creato nel 1909, era ancora una novità nel panorama culturale della città.
Edgar Allan Poe, Racconti straordinari, Milano, Sonzogno, 1883.
Collocazione: CdF. Y. 123
Edgar Allan Poe, Nuovi racconti straordinari (1885)
Edgar Allan Poe, Nuovi racconti straordinari, Milano, Sonzogno, 1885.
Collocazione: CdF. Y. 125
Ann Radcliffe, L'italien, ou Le confessional des pénitents noirs (1798)
Prima ancora di Poe, a cavallo fra Settecento e Ottocento il gothic novel inglese aveva fornito un modello che sarebbe poi diventato produttivo nella creazione dei generi paraletterari meno legati al realismo come l’horror, il fantastico e la fantascienza. I titoli a cui si fa riferimento sono noti: Il castello di Otranto di Horace Walpole (1764), Frankenstein di Mary Shelley (1818), Il vampiro di John Polidori (1819). Non ci sono però nella Biblioteca dell’Archiginnasio edizioni ottocentesche di queste opere, neanche giunte successivamente da acquisizioni di biblioteche o fondi di persona.
Molto presente è invece un’autrice che assomma in sé due caratteristiche che Evangelisti rileva in questa produzione e in quella che da essa deriva: le scrittrici donne sono più numerose che in altri generi letterari - e ottengono risultati spesso notevoli - e l’ambientazione è frequentemente italiana. Per Evangelisti una dimostrazione che l’idea che l’Italia fossa terra di realismo e non di mistero, propugnata per decenni dalla critica accademica, non aveva nessun fondamento (Il nero è donna [2002], p. 139-141).
L’autrice in questione è Ann Radcliffe, che a cavallo dei due secoli scrive molti romanzi di grandissimo successo, nei quali il confine fra realismo e soprannaturale è spesso molto labile (Todorov parlerà di «modo fantastico» in La letteratura fantastica) e, come indicato dai titoli, l’ambientazione italiana ricorre spesso, al pari di personaggi provenienti dal Belpaese (quasi mai degli stichi di santo...).
Presentiamo in questa e nelle prossime immagini una selezione delle edizioni sette-ottocentesche di questi romanzi presenti nella Biblioteca dell‘Archiginnasio.
Ann Radcliffe, L’italien, ou Le confessional des pénitents noirs, 5 voll., Paris, Maradan, 1798.
Collocazione: 9. hh. V. 28
Ann Radcliffe, The Mysteries of Udolpho (1808)
Ann Radcliffe, The Mysteries of Udolpho, 5 voll., Paris, Theophile Barrois junior, 1808.
Collocazione: 9. pp. V. 13-17
Ann Radcliffe, A sicilian Romance (1818)
La pagina a fianco del frontespizio, con le varie indicazioni di possesso e di dono, fa pensare che non solo il contenuto del libro è ricco di mistero e avventura, ma probabilmente anche la storia del volume. Si noti inoltre che sul frontespizio vengono elencati i successi editoriali della Radcliffe, in un’ottica “pubblicitaria” che è già simile delle fascette promozionali di oggi.
Ann Radcliffe, A sicilian Romance, 2 voll., London, Longman, Hurst, Rees, Orme and Brown, 1818.
Collocazione: 9. hh. V. 28
Ann Radcliffe, La tomba (s.d.)
Dopo molte edizioni provenienti da Francia e Inghilterra, un’edizione italiana, purtroppo non datata.
Ann Radcliffe, La tomba, Milano, O. Ferrario, s.d.
Collocazione: 2. A. VI. 102
H.P. Lovecraft, Colui che sussurrava nel buio (1963)
Iniziamo a vedere le derivazioni novecentesche, queste veramente paraletterarie anche da un punto di vista commerciale, dei modelli sette-ottocenteschi delle immagini precedenti. L’editoria è ormai pienamente organizzata come un’industria moderna e si diffondono sempre di più collane specializzate nei diversi generi che hanno uscite periodiche regolari.
Una delle più famose è la collana di fantascienza Urania, in cui trova posto questa raccolta di racconti di H.P. Lovecraft, uno degli autori più importanti nel discorso critico di Evangelisti (Lovecraft rivisitato [1996], p. 217-226; La maschera di Lovecraft [1997], p. 227-238). L’autore americano giunge nei cataloghi dell’Archiginnasio in gran parte perchè “scartato” da altre biblioteche e quella che che vedete è l’edizione più datata di una sua opera posseduta dalla biblioteca.
È sempre curioso e interessante soffermarsi sul paratesto di queste collane. Spesso oltre all’opera principale ogni numero contiene altro materiale di varia natura.
In questo caso abbiamo una sezione eterogenea che si intitola appunto Varietà e che, come possiamo vedere dall’indice, contiene:
- un altro racconto di autore diverso, Robert Sheckley, fra l’altro definito da Evangelisti «uno dei migliori scrittori di racconti di fantascienza, se non il migliore in assoluto» (La leggenda Richard Matheson [2003], p. 239). Decisamente meno benevolo invece il giudizio di Evangelisti sui romanzi di questo scrittore americano: «Robert Sheckley era spesso scaduto dalla satira alla barzelletta fine a se stessa, fino a partorire un buon numero di storie goffe e insensate» (Harlan Ellison o del vedere pericolosamente [1999], p. 293);
- un paio di tavole a fumetti di B.C. (vedi immagine successiva), l’uomo preistorico a fumetti creato da Johnny Hart, difficilmente collocabile in ambito fantascientifico;
- la rubrica Il marziano in cattedra. Per avere maggiori delucidazioni riguardo a quest’ultima, rimandiamo al saggio Un marziano in cattedra di Tommaso Pincio (originariamente pubblicato in Atlante della letteratura italiana. 3: Dal romanticismo a oggi, a cura di Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2012, p. 836-841). Noi anticipiamo solo che dietro il marziano del titolo si celava la premiata ditta Fruttero & Lucentini, che in Le strade di Alphaville viene citata due volte. In un caso questa «coppia liofilizzata» (La Francia aliena [1998], p. 104) viene “accusata” di avere diffuso un’idea della fantascienza come prodotto di derivazione quasi esclusivamente anglosassone. Nell’altro ai due viene invece riconosciuta l’intuizione di avere visto Lovecraft come uno scrittore di science fiction (Lovecraft rivisitato [1996], p. 219).
H.P. Lovecraft, Colui che sussurrava nel buio, Milano, Mondadori, 1963.
Collocazione: 35. E 546
H.P. Lovecraft, Colui che sussurrava nel buio (1963)
H.P. Lovecraft, Colui che sussurrava nel buio, Milano, Mondadori, 1963.
Collocazione: 35. E 546
Herbert George Wells
Non stupisce che Evangelisti dedichi molta attenzione alla fantascienza. Partiamo anche in questo caso da uno dei modelli fondamentali del genere, il britannico Herbert George Wells. The Time Machine (1895) e The War of the Worlds (1896) sono due fra le sue opere più conosciute, che saranno oggetto anche di numerose trasposzioni cinematografiche. Proprio il romanzo sulla meravigliosa macchina del tempo ci offre il destro per introdurre l’immagine successiva...
Quelle proposte sono le copertine delle più vecchie edizioni dei due romanzi presenti in Archiginnasio, entrambe in francese.
H.G. Wells, La machine à explorer le Temps, Paris, Société du Mercure de France, [191.?].
Collocazione: BIANCHI A. 6974
H.G. Wells, La guerre del mondes, Paris, Mercure de France, [1908].
Collocazione: 12. K. III*. 38
H.G. Wells, Che avverrà? (1916)
La macchina del tempo dell’omonimo romanzo di Wells permette non solo di ripercorrere le ere passate, ma anche di esplorare ciò che il futuro riserva all’uomo e, dopo la sua estinzione, al pianeta. Non è un caso che nell’immagine qui presentata quelli che oggi definiremmo “romanzi di fantascienza” siano chiamati “romanzi profetici”. La capacità della science fiction di prevedere il futuro è il tema su cui si apre l’intervento pubblicato da Evagelisti il 19 settembre 2001 su «Liberazione» e che ha come tema i fatti dell’11 settembre. Il titolo di questo intervento cita in maniera esplicita Wells: War of the Worlds (p. 127-132). Ma una critica costante di Evangelisti è proprio quella che va a colpire «Chi scambia ancora [la fantascienza] per una banale anticipazione del futuro» (Philip K. Dick e il mosaico composto [2000], p. 250).
Il volume che qui presentiamo mostra come Wells, smessi i panni del narratore, vesta quelli di chi profetizza, questa volta senza il filtro della finzione romanzesca, Il domani del mondo. Si veda l’immagine successiva per conoscere il volto di Wells e soprattutto le tematiche toccate dal libro, collocate in bella vista sul frontespizio.
H.G. Wells, Che avverrà? Il domani del mondo, Firenze, R. Bemporad & figlio, 1916.
Collocazione: 12. I. II. 18
H.G. Wells, Che avverrà (1916)
H.G. Wells, Che avverrà? Il domani del mondo, Firenze, R. Bemporad & figlio, 1916.
Collocazione: 12. I. II. 18
Urania
Abbiamo già accennato alla collana periodica di fantascienza per eccellenza, Urania della casa editrice Mondadori, che avrà poi diverse “filiazioni” editoriali. In questa pagina mostriamo due volumi che indicano la varietà, anche qualitativa, della collana. Da una parte Isaac Asimov, uno di quegli scrittori che diventeranno dei classici della letteratura (tout court, non solo fantascientifica). Dall’altra un Audie Barr che è in realtà lo pseudonimo adottato in campo fantascientifico dall’italianissimo Adriano Baracco, noto più come giornalista che come autore di science fiction. L’utilizzo di pseudonimi anglosassoni risponde all’idea molto diffusa e sostenuta dalla critica accademica e non, e più volte criticata da Evangelisti, che alcuni generi - alla fantascienza potremmo affiancare il poliziesco - non siano adatti al “carattere italiano”. Idea così radicata che la sola presenza in copertina di un Audie Barr al posto di un Adriano Baracco assicurava un numero ben maggiore di copie vendute nelle edicole.
Isaac Asimov, Il sole nudo, Milano, Mondadori, 1957.
Collocazione: 35. A. 21825
Audie Barr, I figli della nuvola, Milano, Mondadori, 1957.
Collocazione: 34. B. 4843 op. 1
(Quasi) Un secolo di fantascienza italiana
Nell’immagine precedente abbiamo introdotto la questione della fantascienza italiana e delle difficoltà che ha incontrato ad affermarsi e trovare un riconoscimento. Evangelisti spesso cita Vittorio Curtoni non solo come autore di ottimi racconti, ma anche in veste di “promotore” degli scritti fantascientifici di autori del nostro paese, soprattutto nelle riviste da lui fondate (ma non solo visto che Curtoni sarà anche collaboratore di «Carmilla»). Nel primo volume qui mostrato, Curtoni compare in veste di critico e traccia, all’altezza del 1977, il percorso compiuto dalla narrativa italiana fantascientifica nel ventennio precedente.
Il secondo volume è invece un’antologia di racconti appartenenti al genere - spesso anzi riconosciuti a posteriori come appartenenti al genere - scritti da autori italiani tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Se si ha la pazienza e la curiosità di scorrere l’indice, si nota che a nomi oramai completamente dimenticati si affiancano quelli di scrittori ben conosciuti ancora oggi, sia inscindibilmente legati alla paraletteratura (il sempre presente Salgari) sia invece celebrati dalla critica accademica per opere considerate più “alte” (Luigi Capuana, Massimo Bontempelli).
Vittorio Curtoni, Le frontiere dell'ignoto. Vent'anni di fantascienza italiana, Milano, Nord, 1977.
Collocazione: 35. A. 20202
Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza italiana 1891-1952, a cura di Gianfranco de Turris, con la collaborazione di Claudio Gallo, Milano, Nord, [2001].
Collocazione: 20. G. 2889
Tutti i denti del mostro sono perfetti
Evangelisti è orgoglioso dell’operazione compiuta come curatore dell’antologia di racconti fantascientifici Tutti i denti del mostro sono perfetti, uscita nel 1997 per celebrare i 45 anni di vita della collana Urania (Compleanno all’aperto [1997], p. 111-114). Considera il volume come il tanto atteso riconoscimento dell’importanza del genere da parte del “sistema” letterario, in quanto molti scrittori “non di fantascienza” (basta guardare le copertine per rendersi conto dell’importanza dei nomi) hanno aderito all’invito di scrivere un racconto fantascientifico non con la degnazione di chi si china a fare un lavoretto da poco per fare un piacere, ma con entusiasmo. Evangelisti racconta che ci furono «adesioni tanto irruenti che a un certo punto fu necessario chiudere il reclutamento, per non superare il numero di pagine consentito. E così abbiamo questa antologia in cui la fantascienza italiana celebra la propria affermazione al di fuori di ogni parvenza di ghetto, con la più qualificata delle compagnie» (p. 114). Va detto, per completezza, che qualche anno dopo (La fantascienza italiana può ancora risorgere? [2005], p. 121-125) l’entusiasmo di Evangelisti è venuto meno e gli sembra che la grande occasione evidenziata dall’antologia da lui curata sia stata sprecata da autori e editori di fantascienza.
Se ci soffermiamo su queste due edizioni di Tutti i denti del mostro sono perfetti notiamo innanzi tutto che oramai (e sono passati solo pochi anni dal primo romanzo di Eymerich, pubblicato proprio in Urania) il nome di Evangelisti viene posto in copertina come garanzia di qualità. In seconda battuta va rilevato che la seconda edizione del volume è di appena un anno successiva alla prima e trova collocazione nella collana Oscar. Best seller, a testimonianza di un successo di vendite innegabile. Un’ulteriore edizione uscirà nel 2004.
Tutti i denti del mostro sono perfetti, a cura di Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi, Milano, A. Mondadori, 1997.
Collocazione: 35. A. 31567
Tutti i denti del mostro sono perfetti, a cura di Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi, Milano, A. Mondadori, 1998.
Collocazione: 35. A. 17388
Malabaila/Levi e i racconti fantabiologici
A dispetto dei nomi che campeggiano sui frontespizi qui presentati, l’autore delle due raccolte di racconti - entrambe prime edizioni - è lo stesso: Primo Levi. Che nel 1966, quando esce Storie naturali, ha già pubblicato le sue opere testimoniali maggiori sull’Olocausto e quindi - non per sua scelta quanto per suggerimento “imposto” dall’editore (e patito dall’autore) - adotta uno pseudonimo per firmare questi racconti che si teme possano “scalfire” la sua credibilità di testimone, in quanto pienamente collocabili nei territori della fantascienza. Marco Belpoliti li definisce «racconti fantabiologici» nel testo Il centauro e la parodia che introduce il volume Tutti i racconti dello scrittore torinese (Torino, Einaudi, 2015, p. XII), avvicinandoli naturalmente alle Cosmicomiche calviniane.
Non molto diversi sono i racconti che compongono la seconda raccolta, datata 1971, ma questa volta Levi non cede alle richieste dell’editore e firma col proprio nome di battesimo, quasi a rivendicare la dignità del proprio lavoro, anche quando abbandona i territori del realismo. Da quel momento Damiano Malabaila scomparirà e anche le edizioni successive di Storie naturali porteranno sul frontespizio il nome di Primo Levi.
Un consiglio appassionato: se non avete ancora letto queste due raccolte, fatelo al più presto. Si tratta di racconti assolutamente imperdibili, come molti altri di Levi.
Damiano Malabaila [i.e. Primo Levi], Storie naturali, Torino, Einaudi, 1966.
Collocazione: CONT. 340 234
Primo Levi, Vizio di forma, Torino, Einaudi, 1971.
Collocazione: CONT. 340 270
Lupin
Nell’eterna lotta fra guardie e ladri che percorre la paraletteratura partiamo dai secondi. A cui aggiungiamo assassini e criminali di vario stampo. Lupin, Rocambole e Fantômas sono la triade d’oro della criminalità romanzesca del feuilleton francese.
Il primo è il ladro gentiluomo per eccellenza. Tanto gentiluomo da passare alla fine nel campo del bene, segnando in questo e in altri modi, a dire di Evangelisti, proprio la fine del feuilleton stesso (Maurice Leblanc e il “feuilleton” al tramonto [2005], p. 171-180).
In questa immagine il frontespizio, nella prossima due illustrazioni, tratte dal romanzo 813, pubblicato nella collana periodica Il romanzo mensile.
Maurice Leblanc, 813. Nuovissime avventure di Arsenio Lupin, Milano, Tipografia del Corriere della Sera, 1921.
Collocazione: 32. F. 725
Lupin
Maurice Leblanc, 813. Nuovissime avventure di Arsenio Lupin, Milano, Tipografia del Corriere della Sera, 1921.
Collocazione: 32. F. 725
Rocambole
Un altro supercriminale francese, nato dalla penna di Pierre Alexis de Ponson du Terrail: Rocambole. E anche per lui una parabola che lo porterà a diventare benefattore e raddrizzatore di torti, a dimostrare come gli autori di letteratura popolare, spesso esponenti della borghesia conservatrice, debbano sempre equilibrare le atmosfere inquietanti con un più rassicurante ristabilimento dell’ordine sociale.
A sinistra la copertina di un romanzo “ufficiale”. A destra il frontespizio di una nuova storia di Rocambole firmata da Constant Guéroult, che si appoggia sull’autorità di una (reale?) documentazione lasciata da Ponson du Terrail per continuare le avventure del personaggio (e, naturalmente, le vendite dei libri che lo vedono protagonista). Un meccanismo già incontrato parlando di Salgari e altri autori e che Evangelisti sembra avallare quando “concede” l’utilizzo dei propri personaggi, in particolare Eymerich, ad altri autori, per ulteriori storie romanzesche o trasposizioni in altri media.
Pierre Alexis de Ponson du Terrail, I drammi di Parigi. L'eredita misteriosa, Firenze, Salani, stampa 1924.
Collocazione: PALMIERI A. 189
Constant Guéroult, Le rivincite di Rocambole, scritto su documenti lasciati da Ponson Du Terrail, Milano, Sonzogno, 1921.
Collocazione: CdF. XX. A. 618
Fantômas
Fantômas, creato dagli scrittori Pierre Souvestre e Marcel Allain, non segue la parabola di altri criminali e non passa dalla parte del Bene. Per Evangelisti è il personaggio che meglio incarna l’illegalismo anarchico che si diffonde in Francia a inizio Novecento, quando il personaggio fa la sua irruzione sul mercato editoriale (si veda immagine successiva).
Come spesso accade è interessante osservare il paratesto di queste pubblicazioni destinate a grande diffusione anche fra le classi sociali meno istruite. In coda a L’impiccato senza volto (pubblicato nel 1963), troviamo alcune pagine intitolate Il giornale dei delitti, in cui viene “imitata” una testata giornalistica di inizio Novecento che riporta la ricostruzione - che si deve ritenere veritiera e fedele proprio perché presentata come caso di cronaca nera - di un delitto perpetratosi alla corte austriaca. L’interesse del pubblico per questi eventi criminosi, ampiamente “cavalcato” da molti giornali dell’epoca - ne nascono di interamente dedicati all’argomento - sostiene la diffusione dei romanzi dedicati a grandi criminali e, lo vedremo, grandi detectives. Le pubblicazioni, come questa, uscite a distanza di decenni, riprendono questa moda (forse mai passata...) per riproporre anche un “sapore dell’epoca” in cui questi romanzi erano stati pubblicati per la prima volta.
Pierre Souvestre - Marcel Allain, Il fiacchere di notte, Firenze, Salani, 1913.
Collocazione: PALMIERI A. 64
Pierre Souvestre - Marcel Allain, L’impiccato senza volto, Milano, A. Mondadori, 1963.
Collocazione: 35. A. 4608
La banda Bonnot
Fantômas e gli illegalisti ([2004], p. 157-170) è uno dei contributi più interessanti presenti in Le strade di Alphaville. Si tratta di una specie di “caso di studio” di una delle idee forti del volume, cioè lo stretto legame fra i testi paraletterari e gli avvenimenti sociali - che poi diventano eventi di cronaca - che caratterizzano l’epoca in cui questi vengono pubblicati.
Fantômas diviene infatti la trasposizione letteraria e romanzata delle istanze e delle modalità d’azione dell’illegalismo anarchico che nella Francia di inizio Novecento porta avanti idee e azioni che, almeno nelle espressioni più radicali del movimento, vanno a colpire non solo le classi al potere ma anche coloro che vengono considerati conniventi col potere stesso, per il solo fatto di non ribellarsi.
Fra gli illegalisti anarchici spicca per crudeltà e spettacolarità delle azioni criminali la Banda Bonnot, attiva fra il 1911 e il 1912 e famosa anche per l’uso di automobili e altre “novità” tecnologiche nell’esecuzione delle proprie azioni criminali. I volumi presentati mostrano l’interesse che queste azioni suscitano anche nei decenni successivi.
Evangelisti, in veste di storico, tratta le vicende dell’illegalismo anarchico francese - e della banda Bonnot in particolare - nel volume Sinistre eretiche. Dalla Banda Bonnot al sandinismo, Milano, SugarCo, 1985.
F. Dumas-Vorzet, La bande à Bonnot, Paris, Librairie Bernardin-Bechet, 1930.
Collocazione: VENTURINI A. 2201
Bernard Thomas, La bande à Bonnot, Paris, Tchou, 1968.
Collocazione: CAGLI E. 365
La banda Bonnot
Nel secondo volume presentato nell’immagine precedente si trova anche un interessante dossier fotografico sulle “imprese” della banda Bonnot e sulla sua eliminazione (gran parte dei membri, a partire dal leader Jules Bonnot, vennero uccisi durante una delle loro azioni criminali). Come vediamo da questa minima selezione di immagini, fotografie d’epoca si uniscono a pagine di giornale per raccontare non solo i fatti, ma anche le modalità con cui questi venivano riportati sulla stampa periodica.
Bernard Thomas, La bande à Bonnot, Paris, Tchou, 1968.
Collocazione: CAGLI E. 365
Arthur Conan Doyle, Lo scritto rosso
Dopo i supercriminali, si salta dall’altra barricata: i grandi detectives. Dopo avere già citato il Dupin di Poe, il suo primo e forse insuperato emulo: Sherlock Holmes. Quando Conan Doyle pubblica il primo romanzo che lo vede protagonista, A study in scarlet, è il 1887. Non ci dilungheremo perché tanto ci sarebbe da dire, tanto è stato detto e Holmes fa talmente parte dell’immaginario collettivo che non c’è bisogno qui di approfondire. Dobbiamo però ricordare che quando Evangelisti parla di questo romanzo (In difesa della fantascienza [2000], p. 80-81) è per dire che esso non aggiunge nulla alla conoscenza della società vittoriana rispetto a quanto già detto dalla letteratura non “di genere”. A differenza di The War of the Worlds e di altri testi fantascientifici, che invece affrontano temi capaci di regalare uno sguardo nuovo e alternativo sulla società in cui sono nati.
Evangelisti tra i vari filoni della letteratura d’indagine preferisce le tinte del nero rispetto a quella del giallo tradizionale. Noi nelle prossime immagini seguiremo un percorso diverso, ripercorrendo invece - in maniera sommaria - alcune tappe della storia del poliziesco in Italia nella prima metà del Novecento, fermandoci proprio quando anche nel nostro paese il nero diventerà il colore dominante. Perché anche di questo molto si è detto - e lo stesso Evangelisti dice - meglio di quanto non potremmo fare qui.
Riguardo all’immagine qui presentata, vale la pena rilevare che questa edizione Salani del 1933 è un rarissimo caso in cui il titolo originale sopra citato non viene tradotto in maniera letterale con il tradizionale Uno studio in rosso, ma con un più intuitivo, ma anche meno preciso, Lo scritto rosso.
Arthur Conan Doyle, Lo scritto rosso. Sherlock Holmes, il poliziotto dilettante, Firenze, A. Salani, 1933.
Collocazione: 34. B. 9492
L'Italia in giallo
Oggi è normale parlare di poliziesco italiano, cioè scritto da italiani e ambientato in Italia, ma fino agli anni Novanta del secolo scorso non era così. Anzi per decenni gli autori italiani dovevano adottare pseudonomi anglosassoni per vendere (lo abbiamo già visto parlando di fantascienza) e l’ambientazione nella penisola sembrava impossibile o poco efficace, anche a causa del bando al romanzo poliziesco promulgato - e in buona parte efficacemente messo in atto - dal Fascismo.
Bisogna quindi rendere merito a due opere che, pur a 10 anni di distanza l’una dall’altra, hanno per prime tracciato una storia del giallo scritto da autori italiani e della diffusione del giallo nel Belpaese. Da una parte il libro di Loris Rambelli, «prima esauriente guida critica e bibliografica alla letteratura poliziesca italiana», come recita la copertina. Dall’altra il benemerito volume curato da Renzo Cremante che si concentra soprattutto, come testimoniato dal titolo, sulla veste editoriale dei gialli, in particolare sulla copertina.
Cogliamo l’occasione anche per ringraziare Loris Rambelli che, da noi contattato, ha fornito informazioni e dettagli sul tema con la consueta competenza e disponibilità.
Loris Rambelli, Storia del “giallo” italiano, Milano, Garzanti, 1979.
Collocazione: 35. A. 16141
Le figure del delitto. Il libro poliziesco in Italia dalle origini a oggi, a cura di Renzo Cremante, [Casalecchio di Reno], Grafis, 1989.
Collocazione: 3. R. I. 18
I Libri Gialli Mondadori
I Libri Gialli della Mondadori non è la prima collana italiana dedicata al poliziesco né la prima a prendere il nome dal colore delle copertine, ma fin dal suo esordio, nel 1929, non solo è fondamentale nella diffusione popolare del genere, ma fornisce addirittura la terminologia che servirà a “nominare” il genere stesso, grazie proprio al colore predominante.
Anche Mondadori era alla ricerca di una veste standard da applicare alla sua collana di romanzi polizieschi e di un colore vivace e luminoso che desse nell’occhio e si imponesse all’attenzione del lettore. E così su un fondo giallo citrino, si stagliarono, alla sommità della copertina, le lettere del titolo in nero di china e, al centro, una illustrazione racchiusa in un riquadro geometrico di forma esagonale. Poi i rigidi contorni dell’esagono furono abbandonati e si preferì fare strabordare l’illustrazione da un arco di circonferenza, marcato da una sottile filettatura rossa (e questo, con l’aggiunta di qualche trascurabile dettaglio, costituisce, ancora oggi, l’inconfondibile marchio di fabbrica delle collane poliziesche di Mondadori). Ebbene, la collezione si chiamò «I Libri Gialli».
Loris Rambelli, Storia del “giallo” italiano, Milano, Garzanti, 1979, p. 15-16.
Le immagini qui presentate sono tratte da: L’esordio dei Gialli Mondadori. Da fortunata scelta editoriale all’esplosione di un genere letterario, a cura di Emanuela D’Alessio, [S.n.], Oblique, 2012.
Sulla sinistra i quattro volumi della collana usciti nel 1929 (n. 1-4), sulla destra quelli usciti nel 1930 (n. 5-8). Come si vede il passaggio dall’esagono al cerchio avvenne proprio fra primo e secondo anno di vita della collana. Ma non è stata questa l’unica novità portata dal 1930 nella “confezione” del prodotto...
S.S. Van Dine, La fine dei Greene (1930)
Triste storia di un bibliotecario. Vedendo in catalogo che l’Archiginnasio possedeva l’edizione 1930 di La fine dei Greene di S.S. Van Dine, uscita nella collana I Libri Gialli, ero convinto di trovarmi di fronte alla sgargiante copertina già vista nell’immagine precedente, pur se, presumibilmente, piuttosto rovinata. Recuperando il libro dallo scaffale mi sono invece trovato di fronte, con grande delusione, alla copertina qui presentata. Dopo la delusione è subentrato lo smarrimento del non riuscire a dare una spiegazione alla cosa. Ma presto un breve accenno letto da qualche parte e, soprattutto, la conferma avuta direttamente da Loris Rambelli hanno diradato le nubi: quella che vediamo qui era la copertina cartonata dei volumi, che però a partire proprio da questo n. 5 della collana erano “protetti” da una sovraccoperta che recava il colore giallo, il cerchio rosso, ecc. Quella della nostra copia (e di molti altri libri della collana posseduti dall’Archiginnasio) è andata perduta, chissà dove. Nei volumi del 1929 invece, non c’era sovraccoperta e l’illustrazione era impressa direttamente sulla copertina cartonata.
La presenza della sovraccoperta - e quindi di un elemento di “cura” nella confezione del prodotto - indica fra l’altro che, come dice lo stesso Rambelli nella Storia del “giallo” italiano e diversamente dalla percezione che oggi potremmo avere della collana, il pubblico a cui I Libri Gialli si indirizzavano (e il pubblico del poliziesco in generale) era «non proletario, ma borghese e libresco» (p. 10-11).
S.S. Van Dine, La fine dei Greene, Milano, A. Mondadori, 1930.
Collocazione: 35. A. 212
S.S. Van Dine, La fine dei Greene (1930)
Uno sguardo al paratesto. La collana sembra ancora non avere definito la propria vocazione totale al poliziesco. Non solo oscilla fra questo genere e un meno definito ambito avventuroso, ma sembra anche strizzare l’occhio a storie più legate ad atmosfere gotiche e misteriose.
S.S. Van Dine, La fine dei Greene, Milano, A. Mondadori, 1930.
Collocazione: 35. A. 212
S.S. Van Dine, La fine dei Greene (1930)
Vediamo ancora la presenza di diversi elementi nel definire la collana, che deve ancora trovare una strada precisa. Anche lo slogan che ne accompagnò l’uscita e che qui vediamo, «I libri che non lasciano dormire», secondo Rambelli portava un «messaggio ridondante» e poteva significare almeno due cose: «Ovvero: “non vi lascerà cadere gli occhi per la noia”. Ma si poteva anche intendere: “non vi lascerà chiudere occhio per lo spavento» (Storia del “giallo” italiano, p. 14).
S.S. Van Dine, La fine dei Greene, Milano, A. Mondadori, 1930.
Collocazione: 35. A. 212
Marie Belloc Lowndes, La dama di compagnia (1930)
Dopo avere promesso al lettore di non farlo dormire, arrivati al n. 8 si affina la strategia promozionale: i libri della collana certamente non fanno dormire, ma permettono di fare riposare la mente proprio nei momenti in cui questa «fuori del sonno [...] non conosce l’ozio». Il lettore sarà così impegnato a risolvere il mistero da dimenticare tutto il resto. Non a caso viene chiamata anche, espressione che Evangelisti non sopportava, letteratura d’evasione.
Edgar Wallace, L'inafferrabile (1931)
Il paratesto di questo volume offre molte informazioni e curiosità. Si tratta del n. 9 dei Libri Gialli della Mondadori, datato 1931. Trattandosi però di una seconda edizione, viene stampato nel dicembre di quell’anno e offre quindi un elenco completo dei libri usciti nella collana fino ad allora. Si vede quindi che proprio dal 1931 la pubblicazione dei volumi si fa più frequente e periodica, mentre sia nel 1929 che nel 1930 erano usciti solo quattro volumi a brevissima distanza l’uno dall’altro.
Inoltre è evidente che a questa altezza temporale il volume offerto è più “complesso” dei precedenti: intanto propone anche un racconto, oltre al romanzo principale. Il numero delle pagine promozionali della collana stessa è molto cresciuto. Inoltre è possibile abbonarsi alla collana, anche compilando un modulo che si può ritagliare dallo stesso libro. Abbonandosi il lettore può evitare di buttare via 25 lire. Al terzo anno di vita della collana possiamo oramai apprezzare una vera e propria strategia commerciale, pienamente dispiegata.
Un consiglio di Evangelisti sempre utile per lo studio della paraletteratura: «È proprio al mercato e alle sue distorsioni che andrebbe rivolta l’attenzione primaria» (Periferia di Alphaville. 23:15, ora oceanica [2006], p. 43).
Edgar Wallace, L’inafferrabile, 2. ed., Milano, A. Mondadori, 1931.
Collocazione: 35. A. 218
Ezio D'Errico, La casa Inabitabile
La casa inabitabile di Ezio D’Errico (I Libri Gialli n. 266, 1941) è un volume storico perché è l’ultimo della prima serie della collana, che viene interrotta a causa delle direttive con cui il Fascismo cerca di proibire la pubblicazione di romanzi polizieschi. Il genere infatti è ritenuto troppo legato alla cultura “anglosassone” e in parte a quella francese (il protagonista di molti romanzi di D’Errico per esempio è il commissario Richard) e, per sua stessa natura, propone tematiche che mettono in luce aspetti negativi della società (il crimine, il delitto, anche se è sempre previsto il ristabilimente dell’ordine iniziale con la soluzione del caso). L’Archiginnasio non possiede questo volume (ringraziamo Loris Rambelli per averci fornito l’immagine della copertina) ma possiede l’edizione 2004 del libro, pubblicato dalla Libreria dell’Orso e curato dallo stesso Rambelli, con l’intento di riproporre uno scrittore quasi completamente dimenticato.
Le direttive del regime fascista porteranno un duro colpo all’affermazione di autori di poliziesco italiani, ma renderanno anche poco frequente l’ambientazione di queste storie nel nostro paese, accrescendo l’esterofilia dei lettori. Ma, lo vedremo nella prossima immagine, alcuni autori italiani continueranno a pubblicare e ad ambientare nel Belpaese anche negli anni successivi.
Gli scrittori di poliziesco italiani contemporanei si sono presi una “rivincita” letteraria sul regime con l’antologia Fez, struzzi & manganelli. I migliori giallisti italiani raccontano il ventennio fascista, a cura di Gian Franco Orsi, Milano, Sonzogno, 2005.
Ezio D’Errico, La casa inabitabile, Verona-Milano, A. Mondadori, 1941.
Ezio D’Errico, La casa inabitabile, Pistoia, Liberia dell’Orso, 2004.
Collocazione: 35. A. 24223
Augusto De Angelis, Il mistero delle tre orchidee (1942)
Come si diceva in precedenza, alcuni polizieschi sfuggirono alla censura fascista e vennero pubblicati anche dopo il 1941, pur avendo ambientazione italiana. È il caso di Il mistero delle tre orchidee, di uno dei più importanti scrittori di gialli italiani del periodo, Augusto De Angelis, ripubblicato anche recentemente da Sellerio. Si tratta del penultimo romanzo con protagonista il milanesissimo commissario De Vincenzi, poliziotto-filosofo, infallibile nelle indagini ma alieno da ogni idea di eccezionalità alla Sherlock Holmes. Il romanzo riuscì a passare sotto i radar del MinCulPop e ad arrivare sul mercato anche perché pubblicato in una collana, I romanzi della Palma, non specificamente dedicata al poliziesco.
De Angelis morì nel 1944 a causa delle ferite riportate in un pestaggio subito da un “repubblichino”.
Anche in questo caso vale la pena gettare uno sguardo all’apparato paratestuale che accompagna il romanzo, ricco di curiosità, brevi narrazioni, pubblicità e giochi, materiale che può offrire al lettore più di una possibilità di svago.
De Angelis fu anche uno dei primi a sostenere anche teoricamente la possibilità di un giallo di ambientazione italiana in una conferenza tenuta a fine anni Trenta dal significativo titolo Conferenza sul giallo (in tempi neri), il cui testo è stato pubblicato solamente molti anni dopo sul periodico «La Lettura», XLVII (1980), p. 27-44.
Augusto De Angelis, Il mistero delle tre orchidee, Milano, A. Mondadori, 1942.
Collocazione: 35. B. 166
Francesco Monpria, Il delitto di Via Belle Arti (1932)
Bologna non compariva sulla mappa del poliziesco italiano fino all’arrivo in libreria dell’Ispettore Sarti Antonio di Loriano Macchiavelli, nel 1974. Ma un caso di giallo ambientato sotto le Due Torri lo si era già avuto nel 1932. Si tratta di Il delitto di Via Belle Arti di Francesco Monpria. Una storia che si snoda tra i vicoli e le botteghe del centro (con una puntata a Firenze) e che vede protagonista la borghesia petroniana ma anche un giovane popolano. Un’atmosfera di aperta adesione al Fascismo, se non di propaganda, con un tono ironico nei confronti del genere che si nota fin dal sottotitolo: Romanzo giallognolo bolognese. Proprio l’ironico riferiemnto al genere “giallo”, ci fa capire che nel 1932, a soli tre anni dalla nascita de I Libri Gialli di Mondadori, la terminologia “cromatica” per identificare il genere era già entrata nell’uso e condivisa dai lettori.
L’invito è a leggerlo, ma un breve riassunto lo si trova nella scheda che affianchiamo al frontespizio, firmata da Carlotta Sgubbi e tratta dal già citato Le figure del delitto. Il libro poliziesco in Italia dalle origini a oggi, a cura di Renzo Cremante, [Casalecchio di Reno], Grafis, 1989.
Francesco Monpria, Il delitto di via belle arti. Romanzo giallognolo bolognese, Bologna, G. Galleri, 1932.
Collocazione: 17*. AA. 1690
Il caso Murri
Un interesse ben maggiore del romanzo giallognolo bolognese appena presentato era stato riscosso, nel capoluogo emiliano, da un caso di cronaca nera avvenuto circa 30 anni prima: il cosiddetto delitto Murri. I fatti sono noti. Il conte Francesco Bonmartini, marito di Linda Murri - figlia del luminare della medicina Augusto Murri che vediamo qui fotografato in un ritaglio di giornale - viene trovato ucciso il 2 settembre 1902. Le indagini individuano nel fratello di lei, Tullio, l’assassino, e in Linda stessa l’istigatrice del delitto. È un esempio eclatante di quell’interesse per le vicende di cronaca nera che alimentano l’affermarsi del romanzo poliziesco, accresciuto in questo caso dalla notorietà di personaggi coinvolti in maniera più o meno diretta.
A completare il cerchio tra realtà e fiction, decenni dopo Loriano Macchiavelli costruirà una parte del proprio romanzo Coscienza sporca (1995) su fatti ed elementi riconducibili proprio al caso Murri, “miscelandoli” alla cronaca criminale del periodo a cavallo fra anni Ottanta e Novante del secolo scorso, dominata nel bolognese dalla banda della Uno Bianca.
Prof. Augusto Murri, foto del sig. Nino Fornari.
Collocazione: GDS. Collezione dei Ritratti, cart. 41, fasc. 62, n. 1
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto (1904)
Il tentativo di ricostruzione scientifica del delitto - e quindi di arrivare alla soluzione con le armi della logica - è evidente nell’utilizzo della tavola che mostra le ferite riscontrate sul corpo della vittima.
Augusto Guido Bianchi, Autopsia di un delitto. Processo Murri-Bonmartini, Milano, Libreria editrice Nazionale, 1904.
Collocazione: RABBI. E. 647
Linda Murri 50 anni dopo
Una curiosità: all’interno della copia di Autopsia di un delitto posseduta dall’Archiginnasio è stato ritrovato un ritaglio del «Resto del Carlino» del 13 luglio 1955 dedicato proprio a Linda Murri. Nell’articolo viene brevemente ricostruito il caso e si accenna a dove e come avesse vissuto Linda nei 50 anni trascorsi da quegli eventi che le avevano segnato la vita. Che qualcuno abbia deciso di conservare quel ritaglio di giornale testimonia che l’interesse per quel caso perdurava ancora decenni dopo che si era verificato.
Emilio De Marchi, Il cappello del prete (1927)
Sappiamo di avere seguito una strada diversa da Evangelisti, che più che al poliziesco tradizionale rappresentato da Libri Gialli e dintorni apprezza e si occupa di noir, ponendo a modello esemplare del genere Jean-Patrick Manchette e i suoi epigoni francesi («C’était l’hiver et il faisait nuit»: Jean-Patrick Manchette [2003], p. 269-275; Manchette e il noir francese [1998], p. 277-286). Non entreremo nell’analisi del noir italiano e del suo sviluppo degli ultimi 30 anni. Evangelisti in Le strade di Alphaville accenna ad alcuni autori, alla sua affermazione e anche ai rischi che un genere corre quando diventa mainstream. Vale la pena però citare i due modelli che Carlo Lucarelli indica come fondanti per il noir italiano: Giorgio Scerbanenco naturalmente, e lo vedremo, ma anche, più sorprendentemente, Emilio De Marchi.
Scrittore già conosciuto e apprezzato, De Marchi nel 1887 tenta un esperimento: vuole dimostrare che il feuilleton può essere scritto e ambientato anche in Italia (e che i francesi non hanno niente da insegnarci...) e vuole «esperimentare quanto di vitale e di onesto e di logico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato e proclamato come una bestia vorace che si pasce solo di incongruenze, di sozzure, di carmi ignude». Pubblica così, prima a puntate sui quotidiani «L’Italia» e «Il Corriere di Napoli» e l’anno successivo in volume, Il cappello del prete, il romanzo che secondo Lucarelli possiamo appunto collocare «in pieno noir». E che, vale la pena dirlo, sarà il suo più grande successo di pubblico, ben più di quel Demetrio Pianelli che gli varrà invece le maggiori attenzioni da parte della critica.
L’Archiginnasio non possiede la prima edizione del romanzo, l’edizione più vecchia presente in biblioteca è quella del 1927 qui presentata.
Le frasi di De Marchi citate in precedenza sono tratte dalla Avvertenza premessa dall’autore alla prima edizione (1888). Quelle di Lucarelli si ritrovano nella breve nota da lui firmata - col titolo Il cappello del prete: alle origini del noir - che segue il romanzo nell’edizione degli Oscar Classici datata 2006.
Emilio De Marchi, Il cappello del prete, Milano, Treves, 1927.
Collocazione: 3. I. V. 52
Giorgio Scerbanenco, esploratore di generi
Finalmente Giorgio Scerbanenco, padre fondatore del nero italiano ma soprattutto grande sperimentatore di tutti i generi paraletterari. A sinistra la copertina della prima, storica edizione di Venere Privata (1966), che apre il ciclo di Duca Lamberti e offre a tutti gli scrittori italiani - ma ci vorrà del tempo prima che questo porti frutto - la certezza che il noir può essere credibile anche ambientato in Italia con protagonisti italiani. Nel 2007 molti degli autori di noir, sotto la regia di Gian Franco Orsi, “pagheranno” il loro debito a Duca Lamberti facendolo “resuscitare” in un’antologia di racconti che lo vede di nuovo protagonista, dal significativo titolo Il ritorno del Duca.
Ma tra il 1940 e il 1942 Scerbanenco aveva pubblicato cinque romanzi ascrivibili al “giallo classico” con protagonista Jelling, archivista della polizia di Boston, mentre nel corso della sua carriera di “artigiano della scrittura” aveva frequentato anche la fantascienza, lo spionaggio e le storie di avventura, come dimostra la variegata raccolta di sue opere Storie dal futuro e dal passato.
Non basta: più che nota e di grande successo la produzione di Scerbanenco nel campo del romanzo rosa, che vogliamo citare visto che è stato finora trascurato, sia da noi che da Evangelisti. L’Archiginnasio possiede la prima edizione, datata 1955, di questo Mio adorato nessuno, arrivato dalla Biblioteca Comunale Popolare in condizioni “fisiche” non certo eccellenti (ma proprio questo ne testimonia l’uso assiduo da parte dei lettori). Possiamo presentare solamente il frontespizio - che reca appunto tutti i segni della “vita” del volume all’interno della Biblioteca Popolare - perché la sovraccoperta è andata perduta. È facile però recuperarla in rete per vedere come l’illustrazione testimoni palesemente l’appartenenza al genere.
Giorgio Scerbanenco, Venere privata, Milano, Garzanti, 1966.
Collocazione: GORETTI A. 90
Giorgio Scerbanenco, Mio adorato nessuno, Milano, Rizzoli, 1955.
Collocazione: 34. B. 1713
Segretissimo
Abbiamo trascurato, noi ed Evangelisti, anche un altro genere paraletterario fondamentale: lo spionaggio. Avendo più volte citato I Libri Gialli e Urania, non possiamo tacere dell’altra collana di Mondadori che colonizza le edicole italiane: Segretissimo. Quattordicinale di spionaggio.
Queste collane entrano nelle biblioteche in maniera spesso episodica, o vengono comunque frequentemente trattate come prodotti “di serie B”. Ne abbiamo un esempio nell’immagine che presentiamo. A destra il frontespizio di uno dei romanzi di Segretissimo, arrivato in Archiginnasio dalla Biblioteca Comunale Popolare. A sinistra il foglietto dattiloscritto che lo precede e che, letto insieme a tutti gli altri contrassegni presenti sul volume, ci dice una cosa: Le spie muoiono a Tokio è stato fatto rilegare, dalla biblioteca stessa, insieme ai due romanzi che lo hanno seguito nelle uscite della collana. Non che la pratica di rilegare più opere insieme sia una novità per le biblioteche - è sempre stato fatto, anche in antichità, anzi la novità è che oggi non lo si fa più - ma gli scopi qui sembrano ben diversi da quando si riunivano opuscoli e opere varie per migliorarne la conservazione e la fruizione. In questo caso si ha davvero la sensazione di una sorta di 3x1: con un solo prestito porti a casa tre romanzi, di quelli “leggeri” e veloci da leggere.
D’altra parte è ancora vivo il ricordo di quando in molte biblioteche di pubblica lettura i volumi usciti nelle collane “di genere” - alle tre citate di Mondadori aggiungiamo “gli Harmony” - non venivano catalogati né messi sugli scaffali, ma raccolti in ceste o scatole. Chi lo desiderava poteva attingere liberamente e il bibliotecario registrava semplicemente che l’utente aveva preso in prestito “dieci Urania”, o “otto Harmony”. Se anche qualcuno di questi volumi andava perso, poco male, ci sarebbe sempre stato qualcuno che svuotava la cantina e rimpinguava le scorte.
Vale però la pena osservare in rapida sequenza copertine e quarte di copertina dei tre volumi rilegati insieme. La quarta di copertina, ma il discorso potrebbe essere ampliato al paratesto interno dei volumi, serve sì a fare pubblicità a prodotti vari come, in questo caso le cravatte, ma ha spesso la funzione di promuovere anche altri prodotti editoriali di minore diffusione e, probabilmente, considerati più “importanti” da un punto di vista culturale. Qui vediamo la pubblicità di una enciclopedia per ragazzi a fascicoli, in altri casi vengono proposte opere di scrittori di letteratura “non di genere” e “non da edicola”. L’alto numero di lettori di queste collane popolari viene quindi “sfruttato” dalle stesse case editrici per la diffusione di testi che hanno invece un mercato più limitato e ambizioni culturali più elevate.
Jean Bruce, Le spie muoiono a Tokio, Milano, A. Mondadori, 1962.
Collocazione: 34. B. 5752 op. 1
Tarzan incontra i vampiri
E il fumetto? Il fumetto non è un genere, ma un medium, diverso dalla letteratura “solo” scritta o dal libro illustrato (e dal cinema). Allo stigma subito dalla paraletteratura il fumetto assomma il fatto di essere stato per lungo tempo ritenuto un prodotto “da bambini” e di avere di conseguenza patito un controllo censorio ancora più forte e ottuso. Lo ricorda Evangelisti in Saturno contro la critica ([2001], p. 115-119): i fumetti in Italia dovevano portare in copertina «il contrassegno GM (garanzia morale)» (p. 117). Ancora più stringente era il controllo del Comics Code Authority, l’organo di controllo creato negli Stati Uniti negli anni Cinquanta del Novecento sull’onda del moralismo benpensante risvegliato dalla pubblicazione del famigerato Seduction of the Innocent. The Influence of comic Books on today’s Youth dello psichiatra Fredric Wertham.
Ma il fumetto è forse il medium che - insieme al cinema ma con mezzi e costi molto più limitati - permette di riprendere, mescolare, rivitalizzare, rileggere gli eroi e i personaggi tipici della paraletteratura. Per questo spunta regolarmente nel discorso di Evangelisti. Vogliamo proporre qui alcuni esempi di come alcuni dei personaggi citati in questa gallery trovino una vita nuova e spesso diversa fra le vignette.
Il primo esempio dimostra la fecondità di incontri impensabili fra personaggi sfuggiti alla gabbia delle opere in cui sono stati creati. Si tratta di un fumetto in cui Tarzan - quindi un personaggio nato fra le pagine dei romanzi ma transitato con grande successo fra cinema e fumetti - si imbatte in un’intera città di vampiri, “mostri” che attraverso secoli di leggende si sono insediati nell’immaginario collettivo da cui attingono gli scrittori di paraletteratura. Incontra, anzi, una vampira, che della città è la regina (o dea, la denominazione varia fra il frontespizio e questa prima tavola). Non sarà Carmilla, ma il serbatoio da cui si attinge è il medesimo.
Il racconto Tarzan e la regina dei vampiri si trova in:
Tarzan. 4 avventure del re della giungla, Napoli, Comics Club, [19.?].
Collocazione: 35. F. 208
Tarzan incontra i vampiri
Ultima tavola del racconto Tarzan e la regina dei vampiri, in:
Tarzan. 4 avventure del re della giungla, Napoli, Comics Club, [19.?].
Collocazione: 35. F. 208
Monkey Punch, Io sono Lupin III (2018)
Tutti conosciamo Lupin III dal cartone animato che ha reso celebre il discendente del ladro gentiluomo per eccellenza. Ma, come quasi sempre accade per gli anime, il personaggio nasce in un manga, creato da uno dei più importanti e celebrati fumettisti giapponesi: Monkey Punch. Questo volume - qui vediamo copertina e frontespizio, nell’immagine successiva la spettacolare prima pagina - raccoglie le sue prime avventure, pubblicate nel 1967.
Monkey Punch, Io sono Lupin III, Modena, Planet Manga, 2018.
Collocazione: ARPE-MO. B. 1662
Monkey Punch, Io sono Lupin III (2018)
Monkey Punch, Io sono Lupin III, Modena, Planet Manga, 2018.
Collocazione: ARPE-MO. B. 1662
Alan Moore rilegge Lovecraft
Recentemente il mondo di H.P. Lovecraft - i suoi testi narrativi ma anche la sua vicenda biografica - è stato riletto e rielaborato in maniera originale da uno dei più grandi sceneggiatori di fumetti: Alan Moore. Si è trattato di un lavoro estremamente complesso, stratificato e ricco, che si è concretizzato in diversi volumi. Al ciclo più ampio, intitolato Providence (qui vediamo la copertina dell’edizione 2017 del primo di tre volumi) si affianca Neonomicon, che contiene il racconto Il cortile, prima rielaborazione di Lovecraft a firma Moore/Burrows (si veda l’immagine successiva). Non dobbiamo infatti dimenticare il disegnatore di queste opere, Jacen Burrows, che riesce nell’impresa di mettere nelle tavole quello che, a detta dello stesso Moore, è per sua natura indisegnabile. Il lavoro del disegnatore è giustamente celebrato nel volume Orribile Bellezza. L’arte di Providence, di cui vediamo qui la copertina e la cui prefazione, firmata dallo sceneggiatore, si intitola appunto L’indisegnabile: Jacen Burrows e l’arte di Providence.
Alan Moore - Jacen Burrows, Providence, vol. 1, Modena, Panini Comics, 2017.
Collocazione: ARPE-MO. C. 1645/1
Alan Moore - Jacen Burrows, Orribile Bellezza. L’arte di Providence, Modena, Panini Comics, 2020.
Collocazione: ARPE-MO. C. 2447
Alan Moore rilegge Lovecraft
Alan Moore - Jacen Burrows, Neonomicon, Modena, Panini Comics, 2015.
Collocazione: ARPE-MO. C. 1639
Un universo narrativo in espansione. Nicolas Eymerich tra romanzi, fumetto e gaming
Giunti al termine di questa carrellata non possiamo non ricordare l’incontro tenutosi alla Biblioteca dell’Archiginnasio giovedì 23 marzo 2023 alle 18, nella Sala dello Stabat Mater, dal titolo: Un universo narrativo in espansione. Nicolas Eymerich tra romanzi, fumetto e gaming.
Alberto Sebastiani, curatore del volume di Valerio Evangelisti Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura (Odoya, 2022), ha tracciato una panoramica di come l’universo narrativo che vede protagonista l’inquisitore Eymerich si sia espanso in altri media.
Interventi di:
Jadel Andreetto – coautore del romanzo La potenza di Eymerich di KAI ZEN & Emerson Krott (Bacchilega Editore, 2005)Francesco Mattioli – coautore con Valerio Evangelisti del fumetto La furia di Eymerich (Mondadori, 2003 e 2007)Lorenzo Trenti – autore del librogame Nicolas Eymerich inquisitore. Il sabba nero (Vincent Books, 2019)Ivan Venturi – coautore dei videogiochi con protagonista Eymerich La peste e Il villaggio (Ticon Blu, 2012 e 2014)
Ricordiamo che il fumetto La furia di Eymerich nasce dalla sceneggiatura, a firma Evangelisti, di un omonimo radiodramma andato in onda nel 2001 su Radio 2 Rai per la regia di Arturo Villone, che a sua volta è la rielaborazione della sceneggiatura scritta per un film mai realizzato, L’inquisitore e i portatori di luce. Su Radio 2 erano stati trasmessi altri due radiodrammi con protagonista Eymerich, sempre con sceneggiatura di Evangelisti: La scala per l’inferno (regia di Massimo Gugliemi, 1999) e Il castello di Eymerich (regia di Paolo Modugno, 2000). Ogni radiodramma è formato da 30 episodi.
Un’altra escursione di Eymerich fuori dal ciclo canonico è quella in cui “finisce” nel mondo di Lazarus Ledd, protagonista di una serie a fumetti creato da Ade Capone per la casa editrice Star Comics. Eymerich è uno il personaggio principale del numero 17 di Lazarus Ledd Extra, uscito nel febbraio 2003, dal titolo I cristalli di Eymerich. Evangelisti scrive il soggetto insieme alla stessa Capone, che firma anche la sceneggiatura. I disegni sono di Arturo Lozzi.
Un universo narrativo in espansione. Nicolas Eymerich tra romanzi, fumetto e gaming
Una delle foto mostrate durante l’incontro del 23 marzo tenutosi presso la Sala dello Stabat Mater della Biblioteca dell’Archiginnasio. Ritrae Valerio Evangelisti travestito da inquisitore Eymerich durante una serata in cui, a Modena, venivano premiati i finalisti del concorso Grimalkin, i cui partecipanti dovevano scrivere un racconto che avesse Eymerich come protagonista. Questi racconti apocrifi vennero raccolti nel volume I segreti di Eymerich (Torino, Solid, 2003). Per celebrare l’evento venne organizzato un gioco di ruolo che si svolgeva nel mondo eymerichiano e in cui l’autore indossava i panni del protagonista.
Questo ricordo dimostra come Evangelisti “coltivasse” il rapporto con i propri lettori, sapesse mettersi in gioco con ironia e incoraggiasse l’utilizzo del proprio personaggio più noto in riscritture realizzate da altri, nella narrativa come in altri media. Su questo tema abbiamo la possibilità di leggere due documenti molto importanti e poco conosciuti, recuperati e fornitici dall’associazione “Valerio Evangelisti - Il sol dell’avvenire” proprio in seguito all’incontro del 23 marzo. Si tratta di un’intervista che Giovanni Secondulfo fece a Evangelisti nel 2000 e di una mail che lo stesso Evangelisti inviò nel 2006 alla mailing list dei suoi lettori - luogo di discussione e fucina di idee - in occasione dell’uscita del romanzo La potenza di Eymerich, di cui Jadel Andreetto ha parlato allo Stabat Mater.
Durante l’incontro del 23 marzo è stato mostrato anche un video realizzato nel 2012 in occasione della presentazione del primo capitolo dei videogame dedicato a Eymerich, intitolato La peste. Era stato organizzato un flash mob di “domenicani-zombie” che percorsero in processione le vie di Bologna, dalla Basilica di San Domenico fino alla Cineteca, sede in cui si tenne la presentazione. Ringraziamo Ivan Venturi, coautore del videogioco, per averci fonito il video.